Palazzo Cesi

Cinquecentesca dimora di una tra le famiglie illustri e prestigiose umbre-romane e sede nei primi anni del XVII sec. dell’attività scientifica del Principe Federico e della prima Accademia dei Lincei. Alla famiglia Cesi appartennero magistrati, cardinali di Santa Romana Chiesa, frati, vescovi e beati uomini. Fra le loro residenze la più eminente è quella di Acquasparta, centro di un feudo che nel 1540 Gian Giacomo Cesi e la moglie Isabella di Alviano ottennero da Pier Luigi Farnese. La splendida dimora sorse nel luogo di una rocca distrutta nel primo cinquecento nel corso delle guerre fra Todi, Terni e Spoleto e di cui utilizza le torri uniche strutture superstiti. La costruzione del Palazzo intrapresa dal Cardinale Federico nel 1561 dall’ architetto fiorentino Guidetto Guidetti già scelto poco tempo prima per la costruzione della chiesa di Santa Caterina dei Funari a Roma e forse autore delle cappella Cesi in Santa Maria Maggiore. Nel 1564 il Guidetti muore e l’anno dopo anche il cardinale Federico. Dal 1565 è documentato come architetto della fabbrica il milanese Gian Domenico Bianchi. E’ del tutto verosimile che il Guidetti avesse redatto un progetto come fanno pensare i caratteri sangallesi dell’edificio, e che il Bianchi gli succedesse con pieni poteri. Il Palazzo si concluse intorno al 1579 anno del matrimonio di Federico Cesi figlio di Angelo Cesi e Beatrice Caetani, nipote di Gian Giacomo e Isabella d’Alviano, con Olimpia Corsini. . La nobile severa facciata del palazzo è animata dal grande portale a bugne molto rilevate sulla cui sommità si innestano la loggia e la slanciata finestra. Il prospetto si articola verso la piazza con due robusti avancorpi laterali. All’interno verso il giardino è coronato da una elegante loggia a due piani. Nel cortile antistante si trova l’orto botanico e la torretta dove il principe era solito ritirarsi. Nel palazzo si accede dall’androne agli ambienti del piano terreno, dal portico con una scala anticamente ornata di statue dentro le nicchie si sale al piano nobile in cui affreschi e soffitti lignei a cassettoni con intagli testimoniano ancora oggi la ricchezza della decorazione delle sale, realizzati su disegni di Giovanni Domenico Bianchi e forse ispirati a quelli di palazzo Farnese a Roma sono da considerarsi tra gli esempi più importanti di questo altissimo artigianato in area romana. Nei cassettoni del salone sono intagliate figure di Ercole, putti, trofei d’armi e mascheroni e in quello centrale un grande stemma dei Cesi sorretto da due figure di Vittorie.
I fregi ad affresco celebrano la famiglia Cesi ispirandosi alla vite di Plutarco ed esaltano le virtù militari di Gian Giacomo e di Angelo Cesi e la personalità di Paolo Emilio, primo cardinale della famiglia, uomo ricchissimo, colto e potente. Per la decorazione degli ambienti al piano terreno di destinazione privata si ricorse al ricchissimo patrimonio della mitologia soprattutto alle Metamorfosi di Ovidio.
Loggiato Giardino Cesi
Tra le decorazioni pittoriche è ben visibile lo stendardo con l’emblema dell’Accademia, cioè la lince contornata da una corona d’alloro, simbolo della ricerca scientifica e della proverbiale acutezza di vista della lince, ed invito a non fermarsi alle apparenze sensibili della realtà. I documenti e i caratteri stilistici hanno consentito di identificare il responsabile degli affreschi con Giovan Battista Lombardelli un pittore di origine marchigiana dalla pittura ricca di piacevoli effetti e di gustoso senso narrativo che proprio in quegli anni trovò fortuna a Roma lavorando nei Palazzi Vaticani e in molte chiese romane. Fra il 1618 e il 1624 Federico il Linceo fece decorare al piano terreno “la sala di Callisto” con le storie della ninfa amata da Giove e trasformata da Giunone in orsa. La scena al centro della volta con Diana e Callisto deriva dal modello illustre del dipinto di Tiziano ora esposto a Vienna. Federico fece inoltre dipingere nelle stanze delle targhe con iscrizioni e motti in latino, greco ed ebraico in cui esprime i suoi ideali di ricerca, una epigrafe che sovrasta l’architrave di una delle porte della sala della “genealogia dei Cesi” sede delle riunioni del 1609, esprime quasi fosse il suo testamento spirituale, l’idea di un rinnovamento culturale basato su profonde convinzioni di ordine etico ed epistemologico. Intessuta di mitologie e storie romane di trionfi e allegorie di emblemi, la decorazione che arricchisce palazzo Cesi costituisce uno dei maggiori esempi della pittura di gusto romano in Umbria del periodo di rinascita del mondo cortese del cinquecento. Molto interessante nella sala del trono con un camino che porta una dedica a Galileo il quale nell’aprile 1624 fu ospite del giovane Federico. Nell’arredo spiccano due importanti tele “Mosè e le figlie di Jetro” di Matteo Rosselli (Firenze 1578-1650) e la “Fuga di Lot da Sadoma” di un pittore fiorentino suo contemporaneo. Disabitato per lungo tempo, utilizzato per ospitare i senzatetto nel dopoguerra l’edificio fu infine acquistato nel 1964 dall’università di Perugia che nel 1973 ne concluse il restauro. Era il 2007 quando il palazzo veniva chiuso al pubblico e quando l’Università degli studi di Perugia metteva i sigilli al portone per inagibilità. Nel 2013, dopo tre anni di trattative, il Comune di Acquasparta stipulò una convenzione con l’Università che prevedeva un usufrutto trentennale a fronte di un corrispettivo pari ad un milione di euro, in lavori – necessari per la messa in sicurezza e la fruizione della struttura. Finalmente Acquasparta si riappropria del simbolo che da secoli la consacra come centro propulsore di cultura e di scienza. Attualmente è in fase di allestimento il Museo Esperenziale che sarà fruibile prima possibile.

Orto Botanico–Viridarium

Situato in prossimità del Centro storico di Acquasparta, tra la via del “Colle”, il tratto urbano della strada provinciale Tuderte-Amerina (via G. Marconi) e il sentiero della “Palombare”, in quella che all’epoca della sua realizzazione era la prima campagna oltre la cinta muraria medievale. Di proprietà della famiglia Cesi, fu utilizzato nel XVII sec. come giardino botanico e laboratorio di osservazione e sperimentazione scientifica dei membri dell’Accademia dei Lincei oltre quello dietro al Palazzo Ducale. Il complesso è ancora oggi riconoscibile oltre che per la presenza dell’edificio, attraverso i terrazzamenti realizzati per sottrarre alla scoscesa collina gli spazi pianeggianti dei singoli orti.
Addossato con la sua parte posteriore ad un dislivello naturale, l’edificio è strettamente integrato al complesso sistema di terrazzamenti che forma il giardino; è da esso infatti che si sviluppano in varie direzioni i muri di sostegno ai diversi livelli di campagna. Articolato su tre livelli, di cui uno seminterrato, collegati attraverso un corpo scala, l’edificio si presenta volumetricamente e compositivamente molto rigoroso nella sua generale semplicità. La facciata mostra, al piano terra, tre fornici, due dei quali tamponati, che testimoniano l’esistenza di un originario piccolo porticato. Sulla facciata, al culmine del secondo piano, è presente una cornice con quattro gocciolatoi a protomi leonine, che richiamano quelli presenti sulla facciata del palazzo ducale.
Ricostruzione Viridarium Ricostruzione Viridarium
Si accede al piano seminterrato attraverso un’apertura archivoltata (lato Est), che si apre in un ambiente nel quale troviamo in corrispondenza di uno dei lati corti (lato Nord), i resti di un piccolo Ninfeo (spazio architettonico articolato tramite nicchie e caratterizzato da stucchi, affreschi, mosaici e da una fontana) che si trova in pessime condizioni di conservazione a causa di infiltrazioni d’acqua. Sul lato lungo (lato Ovest), opposto all’ingresso, si si trovano due archi che assolvono la funzione di quinta rispetto allo sfondo scenografico della parete contro terra realizzata con pietra a faccia vista, la sensazione che si ha è quella di trovarsi in una vera e propria “grotta artificiale”, tipica di un certo gusto architettonico tardorinascimentale teso alla realizzazione di luoghi per la conviviale ricreazione, il più possibile affini a quelli naturali. Il secondo livello, al quale si accede dall’esterno sul retro (lato Ovest), è un unico grande vano, nel quale troviamo tre finestre e una porta che si apre sulla rampa di scale interne realizzata in pietra e di pregevole fattura, che conduce al terzo livello; un ambiente sottotetto nel quale spicca un raffinato camino e due capriate in legno che sostengono la copertura a padiglione con manto di pianelle e coppi. Nel breve tratto di muro addossato alla metà inferiore del lato destro dell’edificio, pressocchè allineato alla facciata, si apre un nicchione ricco di tartari che potrebbe aver ospitato una fontana a mostra d’acqua. Proprio in quest’area, come testimoniato dal medico e naturalista Giovan Battista Winther a cui era stata assegnata la direzione dell’orto botanico, sono state piantate da Federico Cesi molte specie arboree, tra cui esemplari di Taxus baccata L, i cui campioni di piccoli rami con foglie, fiori e frutti utilizzò per la sua Syntaxis Plantaria e di Chamaerops humilis L. (palma nana), specie con fiori ermafroditi e unisessuati, che gli fornirono i campioni raffigurati nella tavola Plantae et Flores ms. 976 c. 171. Attualmente le condizioni di degrado consentono solamente una visita esterna.
Chiesa di San Francesco

Non si conosce con esattezza la data della fondazione della chiesa di S.Francesco posta fuori dalle mura di Acquasparta. Si sa che esisteva già una cappella dedicata alla Madonna della Stella quando venne S.Francesco e qui volle edificare un romitaggio con annesso lazzaretto vicino alla chiesa della Madonna della Stella che forse nel 1249, venne dedicata a S.Francesco. E’ la prima chiesa francescana costruita dopo la morte del Santo fuori dalle mura di Assisi. Il Pianegiani colloca la sua consacrazione intorno al 1949. La storiografia è concorde sul fatto che il Cardinale Matteo d’Acquasparta abbia fondato il convento di S.Francesco nel 1290. Come si evince dall’analisi della struttura, la chiesa, aveva un altro aspetto ed aveva l’ingresso dalla parte opposta. Quindi, anche in seguito ad un forte terremoto del 1280, il Cardinal Matteo rimaneggiò la chiesa orientandola da ovest verso est quando fu necessario costruire il chiostro a ridosso dell’antica facciata.
Auditorium Facciata interna con Chiostro Chiostro San Francesco
Una delle colonne reca un capitello con lo stemma dei nobili di Acquasparta (tre ruscelli che sgorgano da una fonte) con il cosidetto “capo d’Angiò”, cioè i tre gigli di Francia di cui si poteva fregiare proprio la famiglia Bentivenga. A piano terra, sul lato opposto alla chiesa, una grande sala sembra abbia inglobato il vecchio lazzaretto diventando un ospedaletto per le varie pestilenze e lebbrosario. La data del 1290 (inclusa nell’epigrafe posta sul lato esterno sinistro dell’edificio) potrebbe indicare la data del compimento tanto della chiesa che del convento. “Nell’anno 1290 era in questa terra in pieno vigore la fede di Gesù Cristo, perché da questa comunità furono qua chiamati i Padri Conventuali…”. Gli stessi vissero nel Convento costruito intorno alla Chiesa e officiarono la medesima fino alla occupazione napoleonica o, comunemente, del “Governo dei Francesi”. Scacciati i padri francescani la chiesa fu custodita e officiata dal priorato di Acquasparta e parte del Convento verrà demolito per volontà della famiglia Santini nel 1911. La stessa vi costruì l’albergo Amerino. Medesima sorte toccò all’antica Chiesa della SS.ma Trinità, attaccata, nel lato Nord, alla Chiesa di S. Francesco demolita nel 1928. La chiesa, espressione tipica dell’architettura francescana “povera”, è un esempio assai interessante di quell’arte di transizione dal romanico al gotico. “Graziosa la fronte col suo portatetto a colonnini; la rosa e la cornice a mensoline” (A. Biagetti). Si hanno notizie di pregevoli affreschi del XV sec. esistenti un tempo all’interno, affreschi di cui non è stato possibile trovarne tracce. All’interno vi è una statua lignea rappresentante la Vergine col Figlio in braccio della prima metà del XIV sec., invocata da sempre, dagli acquaspartani, con il titolo di Madonna della Stella. Si conserva, inoltre, una tela francescana copia della celebre tela di Margheritone di Arezzo che si trova in Firenze agli Uffizi e raffigurante S. Francesco e, sui lati, noti episodi della vita del Poverello di Assisi. Da ultimo si deve ricordare l’antichissimo Crocifisso (sec. XIV), portato in questa chiesa da S. Giovanni di Butris o Budes nel 1888, a seguito dell’abbandono della stessa, dopo la confisca dei beni, da parte del Regno d’Italia, a danno dei Cavalieri di Malta. La chiesa, a seguito dei lavori voluti dal popolo di Acquasparta nel 1882, ebbe le capriate ricoperte con volte a crociera di stile neogotico, ed il presbiterio decorato con ornamenti pittorici. Un cancello in ferro battuto divise nettamente il presbiterio dall’aula, trasformata secondo lo stile del tempo. Nel 1983 le volte neogotiche furono abbattute e l’aula tornò alla sua spoglia, quanto lineare e rigorosa, forma originaria con le sue capriate di legno. Rimase solo il soffitto stellato dell’abside.
Interno fino al 1983 Particolare Abside
Chiesa San Francesco
Interno Chiesa San Francesco Particolare Soffitto Abside
Chiesa San Francesco
A seguito degli eventi sismici del 1997-1998, la chiesa, rimasta gravemente danneggiata, è stata consolidata e restaurata, fino alla riapertura al culto del maggio 2005. Il terremoto dell’ottobre 2017 ha causato nuovi danni che hanno reso la parte absidale inagibile.
Basilica di Santa Cecilia
Nell’inventario n°15, redatto nel 1774 e conservato presso l’archivio della curia vescovile di Todi, si legge: “la chiesa„ che presentemente si vede innalzata in ordine d’Architettura toscana, secondo le regole di messer lacopo Barozzio da Vignola, nell’antichissima sua forma, fu rinnovata da fondamento mercé le larghe limosine, e vigilanza dell’ecc.mo sig. Duca Cesi, di questa ill.ma Comunità, e delle rispettive Confraternite di Acquasparta nell’anno del Signore 1761 dall’architetto Pietro Fontana di Roma, come risulta dalla medesima lapide esistente sopra la porta del campanile… In questo ordine di architettura fu conservata intatta nella sua antica forma la Cappella del SS.mo Crocifisso, e sua balaustra con cancello di ferro. Fu consacrata da mons. Francesco Maria Pasini da Rimini, essendo egli vescovo di Todi, addì 22 del mese di maggio del 1763. Si celebra l’anniversario di detta consagrazione dell’antica chiesa ancora praticata ab immemorabili il di 6 ottobre”. Della “antica chiesa” il Cancelliere vescovile di Todi Bonaventura Pianegiani, in un suo manoscritto del 1867, frutto di “accurate ricerche”, ci dice: “Questa chiesa, della sua consagrazione vanta un’epoca assai remota, e che nella Diocesi (Todi) non v’era altra Chiesa di più antica consagrazione risalente all’epoca in cui fu consagrata la Chiesa di S. Carlo entro la città di Todi. Prima della restaurazione del 1761 era in forma di Basilica in semigotico antico a tre navate costituite da colonne di travertino, con facciata ed ornamenti in pietra, grande occhio e cornicione pure in gotico, ornata all’interno di affreschi di antichissimo stile, che dalle ultime disposizioni che presentavano, si conoscevano modifiche in due diverse epoche”. Inoltre, durante i lavori per la installazione dell’impianto di riscaldamento, a metà degli anni 1970, al di sotto del presbiterio, sono state rinvenute mura e pietre, fotografati, certamente anteriori al secolo XI. Tali reperti rendono plausibile l’affermazione del Pianegiani dell’antichità della presenza di un luogo di culto all’interno di Acquasparta e l’ipotesi del formarsi di una comunità cristiana fin dai primi secoli dell’era cristiana. Ipotesi avvalorata dai forti segni cristiani lungo la vecchia Flaminia, quali le Catacombe di Villa S. Faustino (Massa Martana) e la Chiesa dei Santi Cosma e Damiano in Carsulae.
Veduta della Basilica Interno Basilica Santa Cecilia
All’interno troviamo otto Cappelle e in esse, fino all’inizio del XX secolo, si trovavano sette altari e, in quella posta all’ingresso di sinistra, un battistero del 1575. Gli altari restanti sono dedicati ai Santi Nicola, Barbara e Restituta (seconda Cappella all’ingresso di sinistra), al SS.mo Crocifisso (Cappella funebre delle nobili famiglie Liviani Cesi), altare della Madonna del Rosario (terza cappella all’ingresso di sinistra). Al centro dell’abside, sotto l’arco trionfale, l’altare maggiore dedicato a S. Cecilia Vergine e Martire, patrona principale della parrocchia e della città di Acquasparta. Al centro dell’arco trionfale, sorretto da due Angeli, lo stemma della ecc.ma famiglia Cesi, dal XVI secolo signori di queste terre e benefattori della Collegiata di S. Cecilia fino all’inizio del XIX secolo. Nella Basilica e Insigne Collegiata di S. Cecilia si trovavano almeno venti tele rappresentanti i misteri della vita del Signore, la Beata Vergine, e a diversi Santi, molti dei quali esponenti di spicco della grande Riforma cattolica operata all’indomani del Concilio di Trento. Purtroppo di esse ne sono rimaste solamente sette che sono state restaurate a partire dal 1992 e che, nonostante l’usura del tempo e l’incuria degli uomini, oggi ridanno vita e splendore alla Collegiata rinnovata e riportata al suo antico splendore nel 1990 per la generosità e la fede della Comunità parrocchiale. Le tele, collocate nelle cappelle, sono opere di diversi pittori che vanno dalla fine del XVI secolo alla seconda metà del XVIII secolo. Di esse diamo le notizie che abbiamo potuto raccogliere dopo accurate e pazienti ricerche.

Al centro dell’Abside, al di sopra del Coro e dell’Altare Maggiore, “Quadro in tela …con cornice di stucco , e diadema in mezzo intarsiato con palme indicanti il martirio, e da industre pennello rappresentata in quello S. Cecilia V. e M…col braccio sinistro appoggiata all’organo, in mano di essa una carta di musica, la Santa estatica nel vedere sopra una nube discendere un Angelo con tre corone, che promette alla santa, al consorte Valeriano, e a Tiburzio cognato, i quali santi restano in piedi al lato destro ed in un angolo presso la gloriosa titolare si vede lo stemma di S. E. sig. Duca Carlo Muti Cesi, che donò alla chiesa detto quadro”.

Nella Cappella successiva, detta dell’Assunta e dei Santi Pietro e Paolo, è stata collocata (1992), dopo il restauro, la tela della Adorazione dei Pastori, originariamente posta nella Cappella Sensini, (la prima di destra entrando, appena la porta del Campanile). Questa tela, fine del XVI sec o inizio del XVII, la cui bellezza e raffinatezza, colpiscono qualsiasi visitatore, è attribuita dagli inventari del settecento, esistenti presso l’Archivio della Curia Vescovile di Todi, “al famoso pittore Domenichini”. Lasciamo agli esperti valutare la “notizia” ed esprimere un loro autorevole parere, riservandoci la gioia estetica e di religiosa contemplazione che essa ci riserva. Nell’opera si noti come in uno spazio così limitato il pittore è riuscito a collocare un considerevole numero di personaggi e che, pur muovendosi nei canoni del manierismo, presentano elementi di ricca creatività. Essi sono collocati in un ambiente tipicamente rinascimentale con evidenti richiami al mondo classico (come la colonna caduta e spezzata) e con la costruzione della scena del mistero della Natività avente come linea focale la diagonale che dall’alto (a sinistra) giunge in basso (a destra) sottolineata da una luce calda e delicata. Da osservare, inoltre, la straordinaria bellezza e vivacità dei colori, in primo luogo l’azzurro e il rosso.

Successivamente si veda la tela dei Santi Pietro e Paolo ai piedi della “Grande Madre di Dio” (sec. XVII), collocata originariamente nella Cappella ove ora si trova l’Adorazione dei Pastori. Apparteneva, originariamente, alla Famiglia Granorj (XVII sec.) e, successivamente (XVIII), alla Famiglia Paradisi di Terni. La tela si trova, attualmente, nella Cappella (la terza dall’altare maggiore verso l’uscita sulla destra) priva, da sempre, di altare, perché cappella di passaggio per quanti entravano in Chiesa da ponente. L’esistenza di questa porta è visibile dall’esterno, lungo via Colonna. In essa c’è da notare una lapide che ricorda Fulvio Pantani, proveniente da Spoleto e morto nel settembre 1622, “Prioris huius Basilicae”. Questa lapide attesta che la Chiesa di S. Cecilia gode del titolo di “Basilica” che si coniuga con quello di “Insigne Collegiata”.

Nella quarta Cappella di S. Nicolò, partendo da destra dall’altare maggiore verso l’uscita, troviamo “Un quadro ovato, dipinto dal sig. Barna di Terni in tela (XVII – XVIII sec.), e rappresenta S. Nicolò vescovo di Elvira, che vestito d’ abiti sacri in rito greco miracolosamente trasporta un giovinetto cristiano che trovasi schiavo. Al di sopra vedesi S. Barbara colla spada in mano in atto di vittoria. A lato sinistro S. Restituta con palma in mano. Nell’angolo destro si vede un angelo che presenta il diadema”. Tra gli stucchi, rappresentanti temi religiosi, si osservi lo stemma gentilizio dei signori Spada di Terni. Appena l’ingresso principale, sul lato destro, si trova la lapide che ricorda l’edificazione della Chiesa nell’attuale struttura architettonica avvenuta nel 1761.

A seguire la Cappella del SS.mo Crocifisso. Qui si trovano le tombe delle famiglie Liviani e Cesi con due lapidi e relative iscrizioni fatte collocare da Isabella Liviana Cesi nel 1582, nel 74° anno della sua età e qui fu sepolta essa stessa e, nel 1630, il Principe Federico il Linceo, fondatore dell’omonima Accademia (1603).Al di sopra dell’altare è posto “un quadro in tela (seconda metà del XVI sec.) con cornice di legno dorato e intagliato con l’immagine in mezzo del SS.mo Crocifisso, a piedi la SS.ma Vergine, dall’altra parte S. Giovanni Battista, S. Maria Maddalena, e nell’angolo di esso in cornu evangelii il ritratto dell’ecc.ma Duchessa Isabella Liviana Cesi Fondatrice”. Dell’autore di questa tela, certamente di notevole fattura e bellezza, degna dei personaggi delle potenti famiglie che riposano in questa Cappella, abbiamo da parte degli studiosi, a tutt’oggi, solo delle ipotesi, molte volte assai contrastanti, quella più accreditata è che sia opera del Lombardelli già autore di affreschi all’interno del Palazzo Cesi.
Cappella del SS.mo Rosario immediatamente adiacente a quella del Crocifisso. “Al di sopra dell’altare un quadro in tela con le immagini della Madonna SS.ma del Rosario, S. Domenico e S. Caterina da Siena adornato di stucchi con i misteri del Rosario a lato dipinti parimenti in tela. Sostenuto da due colonne per parte con due Angeli, che sostengono il diadema, e con doppia cornice parimenti di stucco”. La tela è dell’inizio del XVIII sec. ed è opera di Niricani da Parma. Non si possono dimenticare l’altare Maggiore e il Coro. L’altare, risalente alla seconda metà del XVIII sec. fu portato in questa chiesa, completamente restaurata, nel dicembre 1990, dalla vicina Chiesa di S. Giuseppe. Il Coro risale al tempo della ristrutturazione della chiesa avvenuta nella seconda metà del XVIII secolo. Esso, in noce, pur sobrio nelle linee e nelle forme, corona e completa la bellezza classicheggiante della Basilica. Ultima ma importante testimonianza artistica è il Crocefisso ligneo realizzato nel 1300, portato in questa chiesa nel 1998 (fino al 1888 si trovava nella chiesa di San Giovanni de Butris poi portato in quella di San Francesco fino al 1998). Tale Crocefisso, di pregevole fattura, mostra ai fedeli i movimenti vissuti da Cristo poco prima della Sua morte: il capo chino, gli occhi socchiusi ed il sangue che, dopo avergli rigato il volto, scende su tutto il corpo mettono in evidenza la Sua natura umana e la Sua sofferenza sulla croce. Guardando attentamente il Suo volto si può scorgere l’accenno di un sorriso di Colui che, dopo aver compiuto la volontà del Padre, accetta con serenità la propria morte (questa iconografia è un chiaro messaggio che si vuole dare al fedele che lo osserva: un messaggio di salvezza e di serenità, certi del fatto che dopo la morte ci aspetta la vita eterna). All’esterno sul lato destro della facciata della chiesa si può ammirare il possente campanile. Quest’opera, che fino al 1761 rimaneva totalmente esterna alla chiesa, ha subito continui interventi riguardanti l’altezza e più ancora la piramide o cuspide che si trovava, fino alla seconda metà degli anni venti di questo secolo ormai concluso, alla sua sommità. Più volte fu colpito da fulmini che provocarono gravi danni anche con l’abbattimento della piramide e parte della stessa torre campanaria. La sua costruzione fu realizzata con pietre provenienti dalla Flaminia, nel tratto su cui fu edificata la Chiesa di S. Giovanni de’ Butris e dalle Chiese, site in campagna, di S. Nicolò e S. Barbara, demolite per ordine dei Visitatori Apostolici mons. Camajani (1574) e mons. Angelo Cesi (1593), essendo ormai fatiscenti. In esso fu collocato, fin dalla metà del 1500 un orologio meccanico, opera di un maestro di Arezzo.
Chiesa del Crocifisso

Questa Chiesa apparteneva alla Compagnia della Madonna del Giglio, costituitasi il l° novembre del 1300 ed è la più antica tra le numerose Confraternite o Compagnie che sono nate nel secondo millennio cristiano. Aveva, oltre le finalità di culto, anche quella di accogliere i poveri e i malati nel suo “Hospitalis Sancte Marie de lilio”, costruito sul lato nord della Chiesa. Con la confisca dei suoi beni, avvenuta con l’unità d’Italia, nel giro di 50 anni la Compagnia si è estinta.

La Chiesa “si crede fondatamente esistere fin dal decimo quarto secolo”. Tale ipotesi è confortata da11’affresco esistente al centro del1’altare e raffigurante la Madonna del Giglio con Bambino risalente, appunto, a quel periodo.
. La chiesa come oggi si presenta è dell’inizio del XVII secolo e ne abbiamo conferma con la data 1617 scritta sulla pianella esterna che si trova sulla gronda, all’altezza della porta laterale (lato est o di fronte alle mura). “Fu compita l’anno 1630 e benedetta nell’istesso anno colle facoltà di mons. Lodovico Cenci vescovo di Todi”. La chiesa, nella forma attuale, è attribuita a Giandomenico Bianchi, noto per la costruzione, di qualche anno antecedente, del palazzo Cesi e della Chiesa del Crocifisso in Todi. “La facciata è fatta di travertini ben lavorati”. E’ di una sola navata con cornicione intorno di mattoni. Vi sono tre archi per parte destinati alle cappelle. Di fronte l’arco maggiore e due gradini con tribuna fatta a volta e a cupola è l’altare maggiore, in legno, con figure intagliate come l’Etemo Padre ed Angeli con gigli in mano, opera di artigiani locali, probabilmente di Narni. Al centro troviamo l’affresco, già ricordato, raffigurante Madonna col Bambino e il Giglio e, ai lati coperti dalla cornice lignea, si intravedono altre figure di Santi, una delle quali è S. Antonio Abate.

In questa Chiesa si conservano 6 tele, una Pietà in travertino del XV sec. detta “Madonna Teutonica”. La prima, ora collocata sulla destra, entrando, rappresenta la Natività di Maria (XVIII sec.), restaurata all’inizio degli anni ’90.

La seconda , sempre sulla destra, con effigie della Madonna SS.ma, S. Anna, S. Federico, e S. Caterina da Siena. E’ dell’inizio del XVII sec. e da alcuni viene attribuita, per lo splendido volto della Madonna, al Polinomi. E’ stata restaurata, gravemente danneggiata, all’inizio degli anni ’90.
La terza, a destra all’interno del presbiterio, una Sacra Famiglia del XlX sec. che andò a ricoprire l’affresco trecentesco, che si trova nel1’altare maggiore, fino agli anni 80.

Dall’altra parete, di fronte alla tela della Sacra Famiglia, si trova il grande quadro in cui sono effigiati S. Domenico, la Madonna SS.ma, S. Maria Maddalena, S. Caterina, con altre effigie di Domenicani in atto di adorazione con cornice di legno nero, e filetti d’oro. Si trovava sopra de1l’a1tare dedicato allo stesso Santo di Ius patronato della Famiglia Spada di Terni. Si conserva ancora, a metà della Chiesa entrando a sinistra, lo stemma della stessa famiglia in pietra.

Infine all’ingresso, sulla destra entrando, è stato collocato un quadro di tela proveniente dalla Chiesa di S. Antonio Abate della medesima Compagnia della Madonna del Giglio che si trovava sul lato ovest della piazza F. Cesi. Demolita la chiesa alla fine del XIX secolo, ormai fatiscente, i Confratelli collocarono in questa chiesa la tela già ricordata raffigurante “la Madonna SS.ma col Bambino in braccio, S. Giuseppe, S. Giovanni Battista, S. Antonio Abate, S. Sebastiano con alcune immagini di fratelli col sacco in atto di adorazione”. La tela si ritiene risalire alla fine del XVI secolo inizio del XVII. E’ stata restaurata all’inizio degli anni ’90.


Apparteneva alla medesima Chiesa di S. Antonio Abate e posta nell’a1tare dell’Addo1orata “statua in travertino assai antica, rappresentante la Madonna SS.ma Addolorata col SS.mo suo Figlio in braccio morto”. Questa statua o Pietà era detta anche Madonna teutonica e vi sono altre immagini, di diversa grandezza, nel nostro territorio. Furono realizzate nel secolo XV con molta probabilità da Benedettini Tedeschi (da cui il nome “teutonica”) presenti per circa cento anni nelle nostre zone. Anche essa fu collocata in questa chiesa e nella nicchia come oggi appare al momento della demolizione della piccola Chiesa di S. Antonio Abate.

Si trova, inoltre, nella Cappella Spadaccini la tela raffigurante la SS.ma Trinità (XVI – XVII sec.) (seconda entrando a sinistra) che era nella chiesa omonima costruita nel XVI sec. e attaccata alla Chiesa di S. Francesco sul lato nord. Fu demolita, ormai fatiscente, nel 1926 con la motivazione di creare maggiore spazio alla più famosa chiesa di S. Francesco. La tela ci offre una iconografia, da tempo consolidata, sul mistero della Trinità. Questa chesa, a partire dal 19 giugno 1738, fu chiamata anche “Chiesa del Crocifisso”. Si cominció “a venerare con particolare culto, in detta data, il SS.mo Crocifisso morto e schiodato senza croce posto ivi (in una cassa di legno) dalla pia mano di don Mattia Amadio di Mucciafora di Norcia, parroco del detto castello, sua patria Diocesi di Spoleto, missionario apostolico”. Il crocifisso, ora ricordato, assai antico (XIV sec.), ancora esiste con relativa urna.
Chiesa di San Giovanni de Buttis*

La chiesa di San giovanni che fa parte della Commenda de Butris o Budes o Buttis, risale probabilmente al sec. XI, quando nel Registro Farfense vengono censite anche le chiese del nostro territorio e, anche se nessuna appare con il nome di Sancti Johanni, numerose sono quelle dedicate a Maria. Tutte identificate ad eccezione di Santa Maria in Strata e di Santa Maria in Pantana. Entrambe riconducibili alla nostra chiesa: la prima riferendosi alla Via Flaminia, la seconda al pantano causato dagli straripamenti del fiume Naja. L’edificio di culto, a navata unica con copertura a tetto sorretto da tre archi diaframma, è realizzato con blocchi di calcare con tessitura disomogenea, a dimostrare una lunga trasformazione nel corso dei secoli. In parte sono stati utilizzati blocchi squadrati di riuso, probabilmente provenienti dalla vicina Carsulae come del resto avvenne per altri edifici limitrofi (Osteriaccia).

Fu costruito sopra ad un vecchio ponte in disuso della via Flaminia al di sopra del piano della campagna inondata stagionalmente dal corso delle acque del fiume Naja. Molto probabile che finisse con l’abside semicircolare in corrispondenza dell’apertura ad arco della vecchia torre di guardia sul ponte costruita in epoca augustea. Il cambio di toponimo è quindi da associare all’arrivo dell’Ordine Gerosolimitano nel XIII sec., grazie ad una concessione dell’edificio da parte di una autorità religiosa che era solito concedere o donare cappelle, canoniche o monasteri in stato di abbandono che restaurate ed ampliate, venivano trasformate in ospizi per poveri e malati.
L’Ordine degli Opedalieri di San Giovanni, nacque in seguito della conquista di Gerusalemme del 1099. Scopo dell’Ordine era di garantire il suo impegno militare e Ospedaliero in Terra Santa e questo avveniva grazie alle Commende, come quella di Acquasparta, che forniva una fonte di reddito con la sua cospicua proprietà e con il suo piccolo ospedale poteva fare assistenza ai viandanti. La commenda di San Giovanni di Acquasparta rientrava in una politica di espansione dell’Ordine gerosolimitano in Umbria. Infatti numerosi furono gli insediamenti lungo le principali vie di comunicazione come lo era la via Flaminia. I principali insediamenti furono l’Ospedale dell’attuale Magione, la chiesa di San Benedetto di Porta Santa Susanna a ridosso delle mura etrusche perugine, il convento di San Lorenzo a Collazzone, l’Ospedale di Castelvecchio di Todi, San Gismondo di Marsciano, la chiesa di S.Pietro de Riconis (l’attuale S.Alò) a Terni ecc. La più antica attestazione dell’appartenenza di S.Giovanni di Acquasparta all’ordine Ospedaliero, compare nelle “Rationes Decimarum Italiae”, ovvero nell’elenco delle imposte straordinarie sul reddito dei benefici ecclesiastici, che la Santa Sede richiedeva in momenti di particolare bisogno. Da questo documento del 1302 si evince che la commenda di Acquasparta dipendeva da quella della chiesa di S.Pietro de Riconis di Terni e che il conduttore di Acquasparta era un certo Frà Jacopo. Per la prima volta abbiamo il “titolus” della chiesa ovvero “de Buttis” con vari possibili significati: come confine oppure riferito al terreno paludoso come buca o fossa nel terreno.
Nel 1333 veniva compilato il noto “Liber Prioratus Urbis” per volere del Priore gerosolimitano di Roma, in cui venivano elencati tutti i possedimenti e possiamo vedere che Acquasparta aveva numerosi appezzamenti di terreno che andavano dal castello di Mezzanelli a Portaria. Inoltre emerge che San Giovanni aveva due case: una ad Acquasparta in via Colonna su più piani compreso un orto, e una casa a Portaria. Da questo elenco si deduce anche la presenza di un piccolo mulino per i cereali ad uso proprio perché aveva la ruota idraulica orizzontale a basso rendimento. Non veniva però specificato dove potesse essere collocato. E’ invece del 1434 un documento importantissimo del governatore del priorato di Roma Giovanni Battista Orsini nel quale descrive la commenda di Acquasparta citando il toponimo delle “Bucti” da collegarsi al significato moderno di botte riferito alle arcate del ponte. Inoltre appare evidente il legame tra la commenda e una delle famiglie più illustri di Acquasparta ovvero i Bentivenga al quale apparteneva quel Giovanni di Simone che il governatore del Priorato di Roma nominava suo procuratore negli affari concernenti la chiesa di S.Giovanni. A questa famiglia apparteneva anche Andrea figlio di Giovanni che risulta cavaliere dell’Ordine nel 1470. Si conoscono anche altri tre cavalieri commendatori di S.Giovanni fra cui Pier Nicola Bentivenga nel 1469.
Nel 1574, al tempo del vescovo Angelo Cesi, venne in visita ad Acquasparta il vescovo di Ascoli Piceno Camaiani. ospitato da Alessandro degli Atti nel castello di Casigliano, venne alla volta di Acquasparta e qui rimase tre giorni ospite della Duchessa Isabella Liviani Cesi e visitò così la chiesa giovannita. Qui il Camaiani ordinava di dipingere sulla parete l’immagine di Cristo Crocifisso e di S.Giovanni. L’anno seguente nel 1575 fu compilato il primo cabreo (inventario dei beni) della commenda, eseguito per volontà del commendatore Frà Giulio Bravi da Verona, che si avvalse del suo procuratore Fabrizio Delfini (abitante ad Acquasparta in via Colonna) insieme ai procuratori e commissari di Isabella Liviani.

Gli affreschi dietro l’altare portano la data del 1602 con l’iscrizione del committente Nicola Giovanni Matteo. Un’altra iscrizione compariva sulla campana del campanile a vela che ricorda che fu fatta dal cavaliere Frà Camillo Baratti nel 1590. Nel corso del 1600 vennero fatti altri tre cabrei in cui si descrive la chiesa, che è più o meno come ora con la differenza che l’abside semicircolare era ricavato nell’arcata a piano terra della vecchia torre e nel frattempo l’ordine Ospetaliero si era trasformato in Cavalieri di Malta.

Poi c’è la descrizione della casa che risultava composta dalla vecchia torre ampliata ed innalzata dove a piano terra c’era un pollaio poi tre piani adibiti a cucina e camere e sopra la colombaia. L’edificio contiguo consisteva in stalle e porcili a piano terra e a piano primo le stanze ad uso dei contadini e lavoratori e la scala per andare alle stanze dei Signori Commendatori o suoi Ministri.
Nel cabreo del 1667, al tempo del commendatore fiorentino Alessandro Benino, viene descritto per la prima volta il Crocifisso di legno dell’inizio del XIV secolo che è stato sempre tenuto in grande venerazione, con un sciugatorio di seta fatto dallo stesso Commendatore del valore di diciotto giulii. Questo Crocifisso, antecedente all’attuale chiesa, fu trasportato nel 1888, accompagnato da una folla immensa di acquaspartani, nella Chiesa di S. Francesco e collocato sull’altare di destra entrando, per preservarlo da una fine indecorosa ed è ancora lì. Possiamo ricostruire la storia dell’edificio di culto ipotizzando che esso, innalzato nel secolo XI sul ponte a ridosso della torre di guardia, fu dedicato alla Vergine Maria e donato alla fine del XIII sec. Agli ospedalieri che modificarono il titolo in quello di San Giovanni. La domus descritta nel “liber Prioratus” era la vecchia torre costituita da un piano terra con le due aperture ad archi in cui in uno era stata costruita l’abside della chiesa, con la volta a botte ancora visibile, dotata di una apertura a botola con cui accedere al piano superiore. Il piano primo consiteva in un ambiente molto alto al quale si poteva accedere anche dall’esterno attraverso un accesso volante con scale di legno. Alle spalle della torre abbiamo l’edificio conventuale il quale fu innalzato successivamente e la sua evoluzione, insieme a quello della torre, può essere seguita attraverso i cabrei seicenteschi e la struttura attuale sarebbe stata realizzata a partire dal 1671 e si può asserire che è il frutto di interventi succedutisi in maniera ininterrotta dalla fine del XIII sec. Sino al sec.XVII.
La commenda di Acquasparta aveva un ruolo strategico per l’Ordine gerosolimitano in Umbria: controllava il percorso che da Terni conduceva a Todi e Perugia, con il suo piccolo ospedale forniva assistenza ai viandanti e nel contempo poteva sostenere l’Ordine nel suo impegno militare in Terrasanta grazie alla cospicua proprietà terriera. Acquasparta, però, non ospitava solamente l’ospedale giovannita, ma altri tre gestiti dalle Confraternite che diventarono animatrici della carità e dell’assistenza ai poveri, ai viaggiatori e ai malati. Oltre l’antichissima stazione di posta, chiamata “L’Osteria” lungo la Strada Flaminia, in base al regesto di Niccolò IV del 1° marzo 1290, si parla di un altro ospedale dedicato a San Marco che compare tra le chiese alle quali viene concessa l’indulgenza “pro ecclesia Sancti Marci hospitalis Acquasparta Tudertinae diocesis”. Questo poi divenne l’Ospedale della Madonna del Giglio gestito dalla medesima Confraternita. Poi c’era il leprosario voluto da S.Francesco condotto dai Francescani e dalla Confraternita della SS.Trinità e l’Ospedale attiguo alla chiesa della Madonna del Giglio, appena dentro Porta Vecchia, gestito da un ospedaliere della Confraternita di S.Antonio. Questo ci fa pensare ad un suo ruolo di particolare importanza, quindi ad un flusso di pellegrini consistente tanto da giustificare la presenza di quattro Ospedali che praticavano assistenza ai bisognosi ed ai viandanti lungo uno dei più antichi percorsi quale era la via Consilare Flaminia. Tutto questo fino alle incursioni napoleoniche prima e all’Unità d’Italia dopo, con cui tutti i beni ecclesiastici vennero incamerati dallo stato e da allora rimasti nell’abbandono totale tra l’incuria, l’usura del tempo e dai furti degli uomini. Ora i resti dell’insediamento si conservano all’interno di una vasta proprietà privata e sono stati oggetto ultimamente di un recupero edilizio tuttora in corso.
*Materiale ed informazioni tratte dal Saggio della D.ssa Nadia Bagnarini “Ospitalità negli insediamenti Ospedalieri in Umbria: il caso di S.Giovanni de Buttis ad Acquasparta tra storia e architettura”
Chiesa del SS.Sacramento

Questa Chiesa che fu costruita nel 1684 in contrada La Piazza Vecchia (oggi temine di Corso Umberto) dalla Venerabile Compagnia del Santissimo Sacramento (Societas Sanctisimi Sacramenti) e benedetta dal Priore della Collegiata di S. Cecilia Cristoforo Rossi per delega di mons. Vescovo di Todi. Detta Compagnia o Confraternita, fu istituita nel 1542 con sede presso l’altare del SS.Crocifisso ed aggregata a quella in S.Maria sopra Minerva in Roma per volontà di questa Comunità. Nel 1683 i Confratri fecero richiesta al Vescovo di avere un Oratorio in cui poter esercitare qualche opera pia ed indicarono una casa vicino alla Chiesa di S.Cecilia di loro proprietà. Il Vescovo concesse con un suo decreto di erigere detto Oratorio a condizione che fosse sempre sotto la direzione del Priore della Collegiata.

Questa Chiesa è di forma quadrata e con tetto in legno, con capriata fino alla metà del XIX secolo. La capriata fu rivestita di volte ben proporzionate come oggi appare.
Nel 1994 questa chiesa fu restaurata e vi è stata ricollocata la tela settecentesca, bisognosa di restauro, che “presenta la cena di Gesù Cristo cogli Apostoli”.

Durante i Iavori, togliendo il vecchio pavimento, è venuto alla luce un pezzo di mosaico romano che, secondo la testimonianza di alcuni anziani, si trovava in una stalla di maiali in prossimità dell’antica Carsulae.
Fu trasportato in questa chiesa da Angelo Biagetti nel 1936, cittadino assai benemerito, storico appassionato e raffinato delle terre Arnolfe. Il mosaico, custodito con vetro antisfondamento, è visibile. Le svastiche, presenti nei bordi del mosaico, sono simboli che hanno fatto molto discutere gli storici locali. Il mosaico è comunque testimonianza di presenze post-romane nel territorio. A fianco della Chiesa è stato allestito il Museo Parrocchiale dove si possono ammirare reperti e documenti storici della Comunità di Acquasparta.