Acquasparta Pro Loco

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Chiesa di Santa Cecilia
CHIESA DI SANTA CECILIA

Nell’inventario n°15, redatto nel 1774 e conservato presso l’archivio della curia vescovile di Todi, si legge: “la chiesa„ che presentemente si vede innalzata in ordine d’Architettura toscana, secondo le regole di messer lacopo Barozzio da Vignola, nell’antichissima sua forma, fu rinnovata da fondamento mercé le larghe limosine, e vigilanza dell’ecc.mo sig. Duca Cesi, di questa ill.ma Comunità, e delle rispettive Confraternite di Acquasparta nell’anno del Signore 1761 dall’architetto Pietro Fontana di Roma, come risulta dalla medesima lapide esistente sopra la porta del campanile… In questo ordine di architettura fu conservata intatta nella sua antica forma la Cappella del SS.mo Crocifisso, e sua balaustra con cancello di ferro. Fu consacrata da mons. Francesco Maria Pasini da Rimini, essendo egli vescovo di Todi, addì 22 del mese di maggio del 1763. Si celebra l’anniversario di detta consagrazione dell’antica chiesa ancora praticata ab immemorabili il di 6 ottobre”. Della “antica chiesa” il Cancelliere vescovile di Todi Bonaventura Pianegiani, in un suo manoscritto del 1867, frutto di “accurate ricerche”, ci dice: “Questa chiesa, della sua consagrazione vanta un’epoca assai remota, e che nella Diocesi (Todi) non v’era altra Chiesa di più antica consagrazione risalente all’epoca in cui fu consagrata la Chiesa di S. Carlo entro la città di Todi. Prima della restaurazione del 1761 era in forma di Basilica in semigotico antico a tre navate costituite da colonne di travertino, con facciata ed ornamenti in pietra, grande occhio e cornicione pure in gotico, ornata all’interno di affreschi di antichissimo stile, che dalle ultime disposizioni che presentavano, si conoscevano modifiche in due diverse epoche”. Inoltre, durante i lavori per la installazione dell’impianto di riscaldamento, a metà degli anni 1970, al di sotto del presbiterio, sono state rinvenute mura e pietre, fotografati, certamente anteriori al secolo XI. Tali reperti rendono plausibile l’affermazione del Pianegiani dell’antichità della presenza di un luogo di culto all’interno di Acquasparta e l’ipotesi del formarsi di una comunità cristiana fin dai primi secoli dell’era cristiana. Ipotesi avvalorata dai forti segni cristiani lungo la vecchia Flaminia, quali le Catacombe di Villa S. Faustino (Massa Martana) e la Chiesa dei Santi Cosma e Damiano in Carsulae.

All’interno troviamo otto Cappelle e in esse, fino all’inizio del XX secolo, si trovavano sette altari e, in quella posta all’ingresso di sinistra, un battistero del 1575. Gli altari restanti sono dedicati ai Santi Nicola, Barbara e Restituta (seconda Cappella all’ingresso di sinistra), al SS.mo Crocifisso (Cappella funebre delle nobili famiglie Liviani Cesi), altare della Madonna del Rosario (terza cappella all’ingresso di sinistra). Al centro dell’abside, sotto l’arco trionfale, l’altare maggiore dedicato a S. Cecilia Vergine e Martire, patrona principale della parrocchia e della città di Acquasparta. Al centro dell’arco trionfale, sorretto da due Angeli, lo stemma della ecc.ma famiglia Cesi, dal XVI secolo signori di queste terre e benefattori della Collegiata di S. Cecilia fino all’inizio del XIX secolo. Nella Basilica e Insigne Collegiata di S. Cecilia si trovavano almeno venti tele rappresentanti i misteri della vita del Signore, la Beata Vergine, e a diversi Santi, molti dei quali esponenti di spicco della grande Riforma cattolica operata all’indomani del Concilio di Trento. Purtroppo di esse ne sono rimaste solamente sette che sono state restaurate a partire dal 1992 e che, nonostante l’usura del tempo e l’incuria degli uomini, oggi ridanno vita e splendore alla Collegiata rinnovata e riportata al suo antico splendore nel 1990 per la generosità e la fede della Comunità parrocchiale. Le tele, collocate nelle cappelle, sono opere di diversi pittori che vanno dalla fine del XVI secolo alla seconda metà del XVIII secolo. Di esse diamo le notizie che abbiamo potuto raccogliere dopo accurate e pazienti ricerche.

Al centro dell’Abside, al di sopra del Coro e dell’Altare Maggiore, “Quadro in tela …con cornice di stucco , e diadema in mezzo intarsiato con palme indicanti il martirio, e da industre pennello rappresentata in quello S. Cecilia V. e M…col braccio sinistro appoggiata all’organo, in mano di essa una carta di musica, la Santa estatica nel vedere sopra una nube discendere un Angelo con tre corone, che promette alla santa, al consorte Valeriano, e a Tiburzio cognato, i quali santi restano in piedi al lato destro ed in un angolo presso la gloriosa titolare si vede lo stemma di S. E. sig. Duca Carlo Muti Cesi, che donò alla chiesa detto quadro”.

Nella Cappella successiva, detta dell’Assunta e dei Santi Pietro e Paolo, è stata collocata (1992), dopo il restauro, la tela della Adorazione dei Pastori, originariamente posta nella Cappella Sensini, (la prima di destra entrando, appena la porta del Campanile). Questa tela, fine del XVI sec o inizio del XVII, la cui bellezza e raffinatezza, colpiscono qualsiasi visitatore, è attribuita dagli inventari del settecento, esistenti presso l’Archivio della Curia Vescovile di Todi, “al famoso pittore Domenichini”. Lasciamo agli esperti valutare la “notizia” ed esprimere un loro autorevole parere, riservandoci la gioia estetica e di religiosa contemplazione che essa ci riserva. Nell’opera si noti come in uno spazio così limitato il pittore è riuscito a collocare un considerevole numero di personaggi e che, pur muovendosi nei canoni del manierismo, presentano elementi di ricca creatività. Essi sono collocati in un ambiente tipicamente rinascimentale con evidenti richiami al mondo classico (come la colonna caduta e spezzata) e con la costruzione della scena del mistero della Natività avente come linea focale la diagonale che dall’alto (a sinistra) giunge in basso (a destra) sottolineata da una luce calda e delicata. Da osservare, inoltre, la straordinaria bellezza e vivacità dei colori, in primo luogo l’azzurro e il rosso.

Successivamente si veda la tela dei Santi Pietro e Paolo ai piedi della “Grande Madre di Dio” (sec. XVII), collocata originariamente nella Cappella ove ora si trova l’Adorazione dei Pastori. Apparteneva, originariamente, alla Famiglia Granorj (XVII sec.) e, successivamente (XVIII), alla Famiglia Paradisi di Terni. La tela si trova, attualmente, nella Cappella (la terza dall’altare maggiore verso l’uscita sulla destra) priva, da sempre, di altare, perché cappella di passaggio per quanti entravano in Chiesa da ponente. L’esistenza di questa porta è visibile dall’esterno, lungo via Colonna. In essa c’è da notare una lapide che ricorda Fulvio Pantani, proveniente da Spoleto e morto nel settembre 1622, “Prioris huius Basilicae”. Questa lapide attesta che la Chiesa di S. Cecilia gode del titolo di “Basilica” che si coniuga con quello di “Insigne Collegiata”.

Nella quarta Cappella di S. Nicolò, partendo da destra dall’altare maggiore verso l’uscita, troviamo “Un quadro ovato, dipinto dal sig. Barna di Terni in tela (XVII – XVIII sec.), e rappresenta S. Nicolò vescovo di Elvira, che vestito d’ abiti sacri in rito greco miracolosamente trasporta un giovinetto cristiano che trovasi schiavo. Al di sopra vedesi S. Barbara colla spada in mano in atto di vittoria. A lato sinistro S. Restituta con palma in mano. Nell’angolo destro si vede un angelo che presenta il diadema”. Tra gli stucchi, rappresentanti temi religiosi, si osservi lo stemma gentilizio dei signori Spada di Terni. Appena l’ingresso principale, sul lato destro, si trova la lapide che ricorda l’edificazione della Chiesa nell’attuale struttura architettonica avvenuta nel 1761.

A seguire la Cappella del SS.mo Crocifisso. Qui si trovano le tombe delle famiglie Liviani e Cesi con due lapidi e relative iscrizioni fatte collocare da Isabella Liviana Cesi nel 1582, nel 74° anno della sua età e qui fu sepolta essa stessa e, nel 1630, il Principe Federico il Linceo, fondatore dell’omonima Accademia (1603).Al di sopra dell’altare è posto “un quadro in tela (seconda metà del XVI sec.) con cornice di legno dorato e intagliato con l’immagine in mezzo del SS.mo Crocifisso, a piedi la SS.ma Vergine, dall’altra parte S. Giovanni Battista, S. Maria Maddalena, e nell’angolo di esso in cornu evangelii il ritratto dell’ecc.ma Duchessa Isabella Liviana Cesi Fondatrice”. Dell’autore di questa tela, certamente di notevole fattura e bellezza, degna dei personaggi delle potenti famiglie che riposano in questa Cappella, abbiamo da parte degli studiosi, a tutt’oggi, solo delle ipotesi, molte volte assai contrastanti, quella più accreditata è che sia opera del Lombardelli già autore di affreschi all’interno del Palazzo Cesi.

Cappella del SS.mo Rosario immediatamente adiacente a quella del Crocifisso. “Al di sopra dell’altare un quadro in tela con le immagini della Madonna SS.ma del Rosario, S. Domenico e S. Caterina da Siena adornato di stucchi con i misteri del Rosario a lato dipinti parimenti in tela. Sostenuto da due colonne per parte con due Angeli, che sostengono il diadema, e con doppia cornice parimenti di stucco”. La tela è dell’inizio del XVIII sec. ed è opera di Niricani da Parma. Non si possono dimenticare l’altare Maggiore e il Coro. L’altare, risalente alla seconda metà del XVIII sec. fu portato in questa chiesa, completamente restaurata, nel dicembre 1990, dalla vicina Chiesa di S. Giuseppe. Il Coro risale al tempo della ristrutturazione della chiesa avvenuta nella seconda metà del XVIII secolo. Esso, in noce, pur sobrio nelle linee e nelle forme, corona e completa la bellezza classicheggiante della Basilica. Ultima ma importante testimonianza artistica è il Crocefisso ligneo realizzato nel 1300, portato in questa chiesa nel 1998 (fino al 1888 si trovava nella chiesa di San Giovanni de Butris poi portato in quella di San Francesco fino al 1998). Tale Crocefisso, di pregevole fattura, mostra ai fedeli i movimenti vissuti da Cristo poco prima della Sua morte: il capo chino, gli occhi socchiusi ed il sangue che, dopo avergli rigato il volto, scende su tutto il corpo mettono in evidenza la Sua natura umana e la Sua sofferenza sulla croce. Guardando attentamente il Suo volto si può scorgere l’accenno di un sorriso di Colui che, dopo aver compiuto la volontà del Padre, accetta con serenità la propria morte (questa iconografia è un chiaro messaggio che si vuole dare al fedele che lo osserva: un messaggio di salvezza e di serenità, certi del fatto che dopo la morte ci aspetta la vita eterna). All’esterno sul lato destro della facciata della chiesa si può ammirare il possente campanile. Quest’opera, che fino al 1761 rimaneva totalmente esterna alla chiesa, ha subito continui interventi riguardanti l’altezza e più ancora la piramide o cuspide che si trovava, fino alla seconda metà degli anni venti di questo secolo ormai concluso, alla sua sommità. Più volte fu colpito da fulmini che provocarono gravi danni anche con l’abbattimento della piramide e parte della stessa torre campanaria. La sua costruzione fu realizzata con pietre provenienti dalla Flaminia, nel tratto su cui fu edificata la Chiesa di S. Giovanni de’ Butris e dalle Chiese, site in campagna, di S. Nicolò e S. Barbara, demolite per ordine dei Visitatori Apostolici mons. Camajani (1574) e mons. Angelo Cesi (1593), essendo ormai fatiscenti. In esso fu collocato, fin dalla metà del 1500 un orologio meccanico, opera di un maestro di Arezzo.